Titolo: OPA
Autore: Francesco Mattia Ferrara
Editore: Affiori
Pagine: 327
Prezzo: € 22,00
Uscita: 1° novembre 2024
“Se è vero che veniamo al mondo per lasciare una traccia, volevo che quella fosse la mia. Incaricai di tramandare il segnale ai loro figli, e ai figli dei figli, affinché tutti sapessero a quale sovrumana ingiustizia fu sottoposto il nostro amore.”
Trama
Opa, nel gergo greco, è un’esclamazione utilizzata per esprimere un sentimento positivo, un’emozione di felicità verso un evento, un invito a lasciarsi andare con leggerezza. O.P.A. è anche l’acronimo inglese di Out of Place Artifacts, traducibile come “oggetti fuori dal tempo”, proprio come quello ritrovato dal protagonista, Florjan, sul fondo del mare durante una gita in barca col suo amico Spyros. Lo strano orologio ha poteri magici e permette a Florjan di viaggiare tra epoche e Paesi diversi per ritrovare la sua amata Cloe. Ambientato nella Corfù veneziana del XVIII secolo, “Opa” recupera antiche storie e miti mediterranei. Accanto alla storia d’amore, filo conduttore del romanzo, si dipanano altri temi particolarmente attuali: l’incontro tra culture, l’accoglienza, la xenofobia, i fondamentalismi e il degrado ambientale.
Biografia
Francesco Mattia Ferrara è nato a Bari nel 1978. Dopo la maturità classica, si è laureato in Scienze Politiche -indirizzo internazionale-con una tesi sull’11 settembre 2001 e il Grande Disegno americano. Dopo aver collaborato per varie testate locali, in qualità di giornalista pubblicista e come responsabile di ufficio stampa per studi legali e associazioni culturali, si è trasferito a Roma, dove lavora per una federazione sportiva nazionale. OPA è il suo primo romanzo
Incipit
“Corfu, estate 2017
Mare e buio, buio e mare.
Quand’ecco, all’improvviso, una scintilla in lontananza: è fioca ma è luce, evviva, è speranza!
Aprì gli occhi a fatica, come se fosse rinato, anzi come se fosse nato per la prima volta, no, come se fosse appena venuto al mondo.
Un brivido lo percosse tutto: aveva freddo, i suoi vestiti erano zuppi di acqua salmastra che ora vomitava copiosa per quanta ne aveva ingerita.
Gli mancava il fiato. D’istinto si portò allora le mani alla gola per allentare il maledetto foulard che ancora lo stringeva e subito sentì scorrergli addosso, come un formicolio, una piacevole sensazione di benessere.
Le ultime stelle sbiadivano. Ogni cosa si colorava di rosa. Il suo nuovo grembo materno, la sabbia.
Riverso a carponi sul bagnasciuga, come uno di quegli oggetti provenienti da chissà dove che le onde puntualmente vi lasciano sopra, si lasciò cullare dal moto pacificante della risacca: Shhh, Shhh, Shhh…”