Intervista all’autore: Alessandro Tittoto

Buongiorno a tutti

Oggi a rispondere alle mie domande è Alessandro Tittoto, autore del libro “Due gocce di anice nel caffè”  edito da “La Caravella”

Se volete leggere la mia recensione potete cliccare qui

Biografia

Alessandro Tittoto, classe 1975, è nato a Vetralla (VT) dove vive e lavora come impiegato. Appassionato di musica e geografia si dedica da tempo alla ritrattistica oltre che ad altre espressioni artistiche. In età giovanile è stato tenore in diversi cori polifonici e autore di diverse canzoni di musica leggera. Ha scritto numerosi racconti, alcuni pubblicati su riviste e collaborato con alcune testate giornalistiche.

Intervista

1 –  Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Nasce dal desiderio di raccontare qualcosa di strutturalmente più complesso di un racconto. Infatti mi ero già cimentato diverse volte con quella forma di linguaggio in passato ma in un certo senso cominciava a starmi un po’ stretta. Avevo anche l’impressione che qualcuno di questi racconti potesse avere un respiro più ampio. Poi in realtà il romanzo nasce, come scintilla primordiale, su una spiaggia mentre leggevo un libro. Le sensazioni e il gusto nello sviluppo della trama di quell’autore uniti a quanto detto prima hanno creato di fatto un immagine nella mia testa che è stata poi l’incipit del romanzo.

2 –  Raccontami qualcosa dell’interessante e curioso titolo del tuo libro?

Credo che il titolo sia molto bello e lo posso dire perché nato dal genio di un mio caro amico. Infatti, un mio dilemma, era proprio il titolo del romanzo. Tutti quelli che avevo provato a immaginare suonavano banali oppure non rappresentavano al meglio lo spirito della storia. Accade così che, confidando questo piccolo cruccio a questo mio amico e avendo lui letto il manoscritto, un bel giorno se ne esce con il titolo in questione.

3 –  Mi descriveresti il tuo libro con tre aggettivi?

Noir, onirico e claustrofobico.

4 – Un pregio e un difetto di Claudio il protagonista e della sua ragazza Letizia?

Per Claudio come pregio l’ingenuità. So che può suonare strano ma solo con l’epilogo si comprende quanto il suo essere ingenuo lo rendesse più vero di tutti gli altri. Come difetto, sicuramente la debolezza, ovviamente dello spirito. Per Letizia è diverso. Sicuramente al contrario di Claudio, l’attitudine alla leadership e quindi una grande forza interiore. Il difetto che la descrive meglio, non so, sono indeciso tra manipolatrice e… la sua attitudine alla leadership.

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5 – Hai trovato qualche difficoltà durante la stesura ?

Originariamente la storia era leggermente diversa da come è poi nata. Scrivendo la sua forma e la sua struttura sono variate e questo ha influito sul metodo che ho utilizzato nella stesura. Ho infatti impiegato un procedimento “cinematografico”. Nel senso che avevo suddiviso tutta la trama in episodi che non sono stati scritti in sequenza cronologica ma in base all’ispirazione del momento. Quindi alla fine mi sono trovato a dover fare un vero e proprio montaggio facendo attenzione che tutto si allineasse. Anche se apparentemente la storia non sembra poi così complessa inizialmente, lo sviluppo delle vicende non può essere contraddetto da quanto accaduto prima e viceversa.

 6 – Puoi anticiparci se hai in progetto un altro libro?

Sì, sto lavorando ad una nuova storia. Sono anche a un buon punto, la prima stesura incompleta ha abbondantemente superato le duecento pagine. Non che la lunghezza determini nulla, ma per me significa che il libro ha già una sua forte personalità e io devo avere l’energia di farla uscire tutta. Non è facile coniugare la vita di tutti i giorni con la scrittura soprattutto se a un certo punto si decide di affrontare delle tematiche che richiedono una riflessione, alla base, non proprio superficiale. Spero di riuscire in questo e di rendere al meglio quello che è il mio pensiero come prima cosa e poi a dare luce ad una bella storia.

 7 – Ci puoi raccontare, se c’è, un aneddoto sul tuo libro?

Ne ho uno molto carino e delicato. Durante la stesura del libro un signore, un uomo inglese, solitario e un po’ avanti con gli anni, aveva l’abitudine di farmi visita tutti i giorni. Lui ha ascoltato fin dall’inizio l’evolversi della storia, con l’avvicendarsi degli eventi, i cambiamenti, i ripensamenti fino praticamente alla forma definitiva del romanzo. Ad un certo momento mi trovavo ad un punto morto, o meglio, ad un passaggio della storia che non scorreva come avrebbe dovuto e un suo consiglio ha sbloccato quel piccolo intoppo. Ha seguito tutto passo passo, fino alla fine. Purtroppo non ha potuto vedere il risultato della pubblicazione perché è venuto a mancare poco tempo prima che questo accadesse. A lui ho dedicato il libro.

 8 – Oltre alla scrittura quali sono le altre tue passioni?

La musica, indubbiamente. Suono e ho fatto parte per anni di un paio di cori polifonici. Direi anche il cinema, ma devo ammettere di essere più “pop” e quindi la televisione. Da sempre è stata la mia compagnia nei momenti di solitudine e dalla quale alla fine credo di aver appreso un certo linguaggio narrativo.

9 – Quali sono i tuoi autori e libri preferiti: puoi citarmene un paio?

Credo ci siano tre autori che con i loro libri mi hanno colpito di più. Non sento o almeno non credo mi abbiano influenzato, ma sicuramente hanno rappresentato qualcosa di molto importante. Li cito uno alla volta con un titolo relativo accanto. Jack Kerouac, con “Sulla strada”. Un autore e un libro che se non vengono letti con lo spirito giusto possono lasciare qualche perplessità. Tuttavia, se si riesce ad entrare dentro la loro ricerca di quello che è di più di una fuga o di un vagabondare, ma un tentativo di afferrare l’eternità splendente che le brutture del mondo ci offuscano, allora possono anche commuovere. Ernest Hemingway e lo accompagno con “Per chi suona la campana”. C’è poco da aggiungere ad un nome così, se non che le sue storie possono essere frutto dell’immaginazione come essere vissute realmente da chiunque. Non sai dove è il confine tra la finzione e la realtà. Chiudo con Phil K. Dick e cito “Le tre stimmate di Palmer Heldritch”. Questo libro credo che dovrebbe essere inserito tra i più grandi romanzi del novecento, ma non lo è. In esso vi è un’allegoria e una rappresentazione della società tramite una fantascienza direi molto lisergica. Certamente l’autore viveva nella sofferenza ma a volte è l’unico mezzo che abbiamo per poter valutare diversamente la vita e vederla per quello che è davvero.

10 – Infine una curiosità: qual è stato il tuo ultimo libro che hai comprato e/o letto?

Ne ho due che ballano sul comodino in questo momento; “Ecco i Blues” di Milton Mezzrow e Bernard Wolfe, e “Paziente 64” di Jussi Adler Olsen. Inoltre sullo sfondo da cui riprendere ogni tanto un paio di righe “Moby Dick” di Herman Melville, un capolavoro assoluto.

Grazie di aver partecipato all’intervista

A presto

Gabrio

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