Intervista all’autore: Marco Albergati

Buongiorno a tutti,

l’intervista di oggi è a Marco Albergati autore del libro “La più bella estate” edito da “Augh!”

La mia recensione la potete leggere qui.

Mentre qui sotto trovate la biografia e le mie domande con le sue interessanti risposte.

Biografia

Marco Albergati, nato negli anni Settanta, fatto che tende a negare, ha studiato e vive a Bologna, fatti che non si possono confutare. Ha due gatti, le piante sulla terrazza e l’acquario. Professore universitario, un po’ filosofo, ha da sempre una passione per l’osservazione della natura umana.

Scrive, studia, cazzeggia per lunghe ore, nonostante gli acciacchi si ostina ad andare in palestra, e passa molto tempo in silenzio a guardare le persone per strada. “La più bella estate” è il suo primo romanzo, scritto con passione. La segnalazione del premio Calvino ha gonfiato a dismisura il suo ego. Consapevole di ciò, chiede al lettore un credito di benevolenza ma è certissimo che ne valga la pena.

Intervista

1- Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Mi è sempre piaciuto scrivere, non c’è stato un momento preciso in cui è nata l’idea. Con il tempo ho preso consapevolezza che il materiale che avevo scritto stava “raccontando” qualcosa, e allora mi sono impegnato nella ricerca storica e linguistica, e piano piano i personaggi e i luoghi mi hanno suggerito cosa dire di loro.

Qualche anno fa avevo letto “I neoplatonici” di Luigi Settembrini, e mi aveva sempre incuriosito la storia di quel libro, il motivo del perché un martire della patria si fosse messo a scrivere un raccontino omoerotico, e delle reazioni di chi, come Benedetto Croce, lo ha letto e ha deciso che dovesse restare nascosto per non infangare la memoria del patriota. Diciamo che l’idea del libro si è definita quando mi è risultata chiara la domanda di fondo da cui nasce tutto: come sarebbe stato sconvolto il mondo interiore di un uomo maturo, sicuro della sua posizione nella società fascista, se si fosse innamorato di un ragazzo giovane e bello?

2 –  Come mai la decisione della quasi assenza dei dialoghi?

Il romanzo racconta il tormento di un bibliotecario di mezza età, dal suo punto di vista. Dunque, il soggetto narrante è proprio chi sta cercando di trovare una ragione a qualcosa che gli sta sconvolgendo la vita. Anche se non si tratta di un soliloquio, è presente un dialogo interiore, attraverso il quale il protagonista si interroga su cosa gli sta succedendo, precipita nell’abisso dell’ossessione e poi ne esce, sempre grazie ad una meticolosa analisi che egli fa di ciò che accade ma che, inevitabilmente, viene sempre riferita a sé. Per questo motivo la forma più adatta che mi è sembrato dover dare alla struttura è quella del diario, e se io scrivessi un diario non riporterei, se non dove proprio necessario, dialoghi.

3 – Mi descriveresti il tuo libro con tre aggettivi?

Intenso, doloroso, ragionato.

4 –  Un pregio e un difetto del bibliotecario?

Il pregio del bibliotecario è quello di riconoscere, anche se dopo molto tempo e diverse sventure, qual è la sua vera natura e prendere, di conseguenza, la coraggiosa decisione di assecondarla. Ho cercato di immaginare una persona di mezza età, erudita, che all’inizio del Novecento, in pieno fascismo, si interrogasse su un aspetto problematico e ignoto per quel tempo: scoprire di essere omosessuali, o almeno tentati dallo stesso sesso. Credo che la soluzione più semplice sia stata per molti quella di nascondere o di negare: il bibliotecario fa proprio questo all’inizio, ma poi cede all’evidenza e ritrova la dimensione “autentica” di sé.

Il difetto del bibliotecario è la sua indecisione, la sua incapacità di lasciarsi andare subito, e di dover per forza inquadrare anche qualcosa di nuovo in modo dirompente, negli schemi rigidi della sua formazione cattolica e della sua fedeltà, almeno esteriore, al fascismo. Tuttavia, lui non è come gli altri del suo tempo, è un uomo di cultura e non un uomo di azione, abituato a districarsi fra i dubbi e fra i se con gli strumenti della ragione. Quando la ragione non è più sufficiente, ecco che affiora la sua più grande debolezza: non essere in grado di ascoltare subito ciò che suggerisce il suo cuore.

5 –  Come mai non hai dato un nome al protagonista?

I protagonisti sono due: il bibliotecario e il ragazzo di cui si innamora. Il bibliotecario scrive un diario, quindi parla di sé, e nel farlo non sente mai il bisogno di chiamarsi per nome. Poi c’è il ragazzo: ho preferito pensare che il bibliotecario, per difenderlo dagli scagnozzi dell’Arpinati avesse deciso di non scrivere mai il suo nome. Ad un certo punto diventa chiaro che i fascisti hanno letto gli appunti del bibliotecario, meno male che il nome del ragazzo non era mai stato scritto esplicitamente!

6 –  Puoi anticiparci se hai in progetto un altro libro?

Si, in effetti sto scrivendo. Si tratta di qualcosa di completamente diverso da “La più bella estate”, sia per l’ambientazione contemporanea che per la lingua. Ci sto lavorando da un po’, sono ancora indeciso su molti aspetti, sto aspettando che i personaggi – che questa volta hanno un nome! – mi suggeriscano cosa scrivere di loro. Ho provato a scrivere qualcosa che comprenda generazioni diverse, le une che hanno vissuto in età adulta il passaggio al nuovo millennio, le altre che invece considerano il mondo di oggi come normale, come se fosse sempre esistito così.

Credo che negli ultimi vent’anni ci sia stato un cambiamento culturale e sociale enorme, e credo che chi ha meno di trent’anni non sia in grado di immaginare come viveva un ventenne negli anni Novanta senza internet, con le frontiere fra gli Stati europei e le chiusure domenicali dei negozi. Credo anche che chi oggi ha quarantacinque o cinquant’anni fatichi a cogliere appieno i linguaggi, i desideri e le aspirazioni dei ragazzi più giovani. Allora ho cercato di immaginarmi a cosa possa portare l’incontro (ma non lo scontro) di queste due prospettive, a prima vista incomunicabili.

7 –  Ci puoi raccontare, se c’è, un aneddoto sul tuo libro?

Quando ho ricevuto la segnalazione dal premio Calvino e ho letto la scheda del comitato di lettura, ho fatto un salto sulla sedia perché mi sono sentito “smascherato”, nel senso che chi ha letto è riuscito a scovare i riferimenti culturali che mi contraddistinguono.

Però, nella scheda, veniva menzionato anche “Gli occhiali d’oro” di Giorgio Bassani, che non avevo letto, ma che per il comitato ha dei punti di contatto con quanto ho scritto io. Per me è stata una grande emozione, e sono subito corso in libreria a comperarlo, l’ho letto tutto d’un fiato e mi sono innamorato di uno dei grandi autori italiani del secolo scorso.

8 –  Oltre alla scrittura quali sono le altre tue passioni?

Il mio motto è “mens sana in corpore sano”, credo molto nella cura del fisico, vado molto in palestra, corro spesso e molto a lungo. Tendenzialmente, però, non mi faccio catturare da una cosa sola: mi piace anche molto leggere – ho la casa invasa di libri –, adoro gli animali (ho due gatti, gli uccellini, l’acquario) e le piante, e, naturalmente, ho il mio fidanzato.

9 –  Quali sono i tuoi autori e i libri preferiti: puoi citarmene almeno un paio?

Il mio romanzo preferito in assoluto, che rileggo periodicamente, è “Il nome della rosa”. Ho provato più volte a leggere anche gli altri di Eco ma non sono mai andato molto lontanto… Ma “Il nome della rosa” è il mio romanzo adolescenziale, lo colleziono in tutte le lingue dei paesi che visito e dove è stato tradotto. Ne ho anche una copia in ebraico trovata in una libreria di Tel Aviv, ed una copia – quella che ho acquistato da ragazzo – con l’autografo di Eco.

Credo che almeno una volta nella vita si debba leggere “Memorie di Adriano” della Yourcenar, e “Diario di un curato di campagna” di Georges Bernanos e “L’isola dei pinguini” di Anatole France. Adoro il Philip Roth de “L’animale morente” e de “Il teatro di Sabbath”, mi piace molto la narrativa del dopoguerra tipo “Opinioni di un Clown” di Heinrich Böll, o la “Trilogia del ritorno” di Fred Uhlman. Voglio trovare il tempo di rileggere ancora Ágota Kristóf.

10 – Infine una curiosità: qual è stato il tuo ultimo libro che hai comperato e/o letto?

Ho comperato, per caso “Il signor diavolo” di Pupi Avati. Ho letto il libro in poco più di un pomeriggio. Molto bello, anche se il finale inquietante lascia sospesi e un po’ con l’amaro in bocca.

Grazie di aver risposto alle mie domande.

ciao
Gabrio

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